Chiesa Sant’Antonio da Padova
Il primo impianto della chiesa di Sant’Antonio da Padova fu edificato nel ‘600 ad opera di frati francescani, in mattoni crudi. Poche notizie su questa chiesa, ad una navata, si ricavano dall’inventario dei beni ecclesiastici di Sestu, compilato in lingua spagnola nel 1761. Esso dice: La chiesa di Sant’Antonio di Padova è lunga cinquantadue palmi, larga 21 palmi, alta 33 palmi, ha la sacrestia lunga e larga 20 palmi, alta 23 palmi, con la volta imbiancata coperta a tegole; ha la sua campana alta due palmi e con una diametro di quattro palmi; la navata lunga trenta palmi, larga ventinove palmi, alta trentadue palmi con le sue sei arcate, tre per parte; oltre al descritto ha uno stanzino dove dorme il suo guardiano.
La chiesa, data la fragilità del materiale impiegato nella costruzione, ogni qual volta il torrente straripava, subiva dei danni essendo il torrente senza arginatura e la chiesa allo stesso livello dell’alveo del torrente. Così nel 1845, ultimata la costruzione del primo ponte per la congiunzione delle due parti dell’abitato, si delimitò la piazza della chiesa con un muricciolo con lo scopo di salvaguardare le strutture della chiesa in caso di future piene del torrente. Con l’arginatura del torrente negli anni 1903-1904, la costruzione del ponte in ferro e la realizzazione delle rampe d’accesso a questo, si dovette costruire una gradinata per l’accesso alla chiesa, rimasta su un piano inferiore rispetto alla nuova sede viaria circostante.
La chiesa, nel tempo, a causa della mancata necessaria manutenzione andò in rovina tanto da mettere in serio pericolo l’incolumità dei fedeli, soprattutto durante la celebrazione, il 13 giungo, della festa del Santo con grande solennità religiosa e civile. Il parroco don Giuseppe Podda, trasferito a Sestu il 7 luglio del 1933, preso a cuore il problema, notando la disponibilità della popolazione, si adoperò per la ristrutturazione della chiesa. L’idea iniziale fu di sistemare solamente il tetto fatiscente, appoggiandolo su pilastri di cemento armato, lasciando i vecchi muri in ladiri, perché si dubitava di riuscire a sostenere la spesa necessaria per una completa ristrutturazione. Ma la generosità dei Sestesi convinse il parroco ad andare oltre, trovando nel Sig. Antonio Ibba detto su para (il frate), di professione falegname e fotografo, un valido aiuto. L’Ibba, presidente del comitato per i festeggiamenti di Sant’Antonio nel 1934, si trasformò in presidente del “Comitato per la nuova chiesa di Sant’Antonio da Padova” sobbarcandosi l’onere della gestione finanziaria dell’ardua impresa. Si dedicò con incrollabile volontà alla realizzazione dell’opera, sacrificando riposo e doveri professionali per raccogliere le offerte del popolo. Non mancarono nei suoi confronti invidia e calunnie, ma grazie all’incoraggiamento di molti e del parroco soprattutto, che lo difendeva a spada tratta in pubblico ed in privato, riuscì a portare a compimento l’opera.
Il 13 settembre 1933, con l’autorizzazione dell’arcivescovo di Cagliari, si celebrò la cerimonia della benedizione della prima pietra. Il popolo sestese intervenne al completo. Il parroco prima spiegò il significato della cerimonia, indi accluse in un tubo di ferro una pergamena portante la seguente iscrizione.: “Oggi 17 settembre 1933, essendo Sommo Pontefice SS: Pio XI, Arcivescovo di Cagliari Mons. Ernesto Maria Piovella, Vicario Parrocchiale di Sestu il Sac. Giuseppe Podda, nativo di Sanluri, Podestà del Comune di Sestu l’Ingegnere Ugo Ranieri, Presidente del Comitato per la riparazione della chiesa il Sig. Antonio Ibba, capo maestro il Sig. Erminio Spiga, si benedice e si fa la posa della prima per la ristrutturazione della chiesa dedicata a Sant’Antonio di Padova con l’augurio che con l’aiuto del taumaturgo si possa portare l’opera presto a compimento, perché riesca di maggiore gloria al santo,e di maggiore profitto spirituale alla popolazione”. Incluse parecchie monete di diverso valore, il tubo fu chiuso da ambo le due parti con cemento e messo sotto il primo pilastro destro della chiesa.
Finita la cerimonia della benedizione della pietra, il simulacro di Sant’Antonio, accompagnato dalla banda musicale e da tutto il popolo, fu trasportato nella chiesa parrocchiale di San Giorgio, dove sarebbe rimasto per tutto il periodo necessario alla realizzazione dei lavori per la riedificazione della chiesa. Il giorno 18 settembre 1933 si diede inizio ai lavori condotti dal capo mastro Erminio Spiga, che preparò anche i disegni della nuova opera. Si domandò l’assistenza dell’ingegnere Ezio Mereu, che aderì volentieri a prestare gratuitamente la propria opera, ma avendo visto che in molte occasioni non veniva consultato, si disinteressò del tutto della gestione. Il Genio Civile concesse un piazzale aperto davanti alla strada principale, dalla quale la costruzione restava separata da un solo gradino. Si potè così sollevare anche il piano della chiesa, preservandola dall’umidità. I materiali occorrenti per la realizzazione dell’opera vennero acquistati prevalentemente a Cagliari.
Oltre allo Spiga prestarono la propria opera retribuita i muratori Giovanni Loi e Antonio Piras, con l’assistenza di diversi manovali. Ma tantissimi furono coloro che non pretesero ricompense per il loro lavoro, usufruendo solamente di una bevuta a spese del Comitato, che di solito costava quattro lire. In questo modo non si reclutò soltanto il personale destinato all’assistenza dei muratori, ma anche volontari per il trasporto dei materiali. Varie furono le forme di finanziamento dell’opera. Si quotarono i 118 soci del Comitato versando ciascuno quattro lire; il Comitato dei festeggiamenti di San Gemiliano offrì la soma di 104 lire; venne realizzata una lotteria; si effettuarono delle questue che diedero frutti in denaro, fave e grano (con offerte minime di un imbuto a quelle massime di uno starello), mosto (con offerte da dieci litri sino a cento litri l’una), materiali da costruzione. Furono rappresentate nel 1934 opere teatrali a cura delle Società Filodrammatiche maschili e femminili, che fruttarono complessivamente L. 2.766,45. I lavori furono portati a termine il 30 maggio 1936.
La chiesa è stata costruita a volta solida in cemento armato, ad arco a tutto sesto, per evitare la spinta ai muri laterali ed ai pilastri. E’ illuminata da una finestra rotonda nella facciata principale. Si accede alla chiesa per due ingressi. La facciata principale, esternamente, è stata arricchita con un simulacro in marmo del Santo. Da una porta a levante si accede ad una piccola sacrestia con una finestra ed una porta sulla strada. Sopra la sacrestia è sistemato un campaniletto in cemento armato, su cui gli ortolani fecero collocare un orologio a suoneria, acquistato dall’Ospedale Civile di Cagliari. Nel campanile furono sistemate due campane, una proveniente dalla vecchia chiesa ed un’altra acquistata dall’Ospedale Civile di Cagliari. Il 31 maggio 1936, giorno della Pentecoste, si fece la benedizione della nuova chiesa da parte del can. Mons. Giuseppe Orrù, essendo impegnato l’arcivescovo in altra manifestazione.
Autore: Franco Secci